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06/04/2011
Salviamo il Parco dei Castelli Romani

Salviamo il Parco dei Castelli Romani
L'unica vera, grande risorsa dei Colli Albani

 

Invitiamo tutti gli utenti di MeteoRoccaPriora a raccogliere le firme in favore della salvaguardia del Parco dei Castelli Romani.


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I moduli vanno inviati entro il mese di Maggio 2011 a:
Di Lolli Marco
Via della Pineta, 32
00040 Rocca Priora
Roma

 

Volentieri pubblico il vademecum sullo stato del Parco dei Castelli Romani a cura del:

Comitato per il Parco dei Castelli Romani

Domande e risposte sullo stato del territorio dei Castelli Romani


Quale è la situazione del territorio e dell’ambiente nei Castelli Romani?
L’impatto ambientale nei Comuni del Vulcano laziale ha superato di 21 volte la capacità di carico del territorio, scompaiono specie animali e vegetali, aumenta l’inquinamento e i rifiuti. Sono preoccupanti i risultati del rapporto annuale sulla sostenibilità ecologica nei Castelli Romani. Ogni anno aumenta l’impatto sulle risorse naturali del territorio, oltre alla sovrappopolazione, ora incidono pesantemente anche gli stili di vita poco ecologici degli abitanti che hanno aumentato lo spreco di risorse materiali e l’utilizzo di energia. I risultati di questa ricerca hanno stabilito che, la popolazione dei 17 Comuni, ha superato di oltre 21 volte la capacità di carico dell'ambiente dei Castelli Romani (dati 2003). Il superamento dei limiti ambientali è in parte coperto prelevando risorse naturali da altre zone del pianeta (acqua potabile dai Monti Simbruini, pietre e cemento dai Monti Lepini, o altre risorse da altre parti del mondo) ed in parte degradando gli ecosistemi del comprensorio dei Castelli (i Laghi, le zone agricole, le falde idriche, le foreste, …).


La situazione è grave?
La situazione è particolarmente grave, lo dimostra ad esempio l'abbassamento continuo e allarmante riscontrato nelle falde idriche e nel livello del Lago Albano e del Lago di Nemi, ormai i Comuni dei Castelli Romani sono oltre ogni limite dello sviluppo. Tutti gli habitat naturali ne risentono fortemente e numerose specie animali e vegetali sono a rischio di estinzione, inoltre l’inquinamento dell’aria e dell’acqua fanno aumentare i danni alla salute.

Allo stato di degrado ambientale contribuiscono piccoli e grandi scempi come, ad esempio, la costruzione nata a pochi passi dalla Zona Umida della Doganella. E’ un danno immenso agli ecosistemi dei Castelli Romani già così degradati dalla forte urbanizzazione e dai danni causati dall’inquinamento.

L’area della Doganella è stata inserita, insieme all’adiacente bosco del Cerquone, nella lista europea dei siti naturali di importanza comunitaria SIC grazie alle specie animali e vegetali presenti. La zona umida della Doganella è quello che rimane del famoso lago della Doganella, grande bacino alluvionale dei Castelli Romani. All’interno di questa area sono presenti numerose specie di anfibi in pericolo di estinzione. Dai tritoni (Triturus crestatus, Triturus vulgaris) alle raganelle (Hyla arborea), dai rospi, dalle varie rane di bosco (rane rosse) alla rara Salamandra pezzata (salamandra salamandra L.) che utilizzano gli stagni presenti per la riproduzione. Numerosi mammiferi, rettili e uccelli vivono grazie a questi habitat naturali. Altri habitat naturalistici sono in pericolo come le famose Piagge di Nemi e il Vallone tempesta, il Monte Artemisio, il Bosco del Cerquone, i campi di Annibale, gli scopiglieti dei pratoni del Vivaro, il lago Albano e quello di Nemi.
Altri importanti elementi di allarme sono il degrado delle zone agricole, il mancato passaggio al riciclaggio dei rifiuti (la maggior parte dei rifiuti sono ancora smaltiti in discarica o attraverso l’incenerimento) e l’inquinamento dell’aria dei paesi causato dall’utilizzo dei combustibili fossili.


A cosa è dovuto questo degrado?
Negli ultimi 50 anni, gli abitanti dei Castelli Romani sono diventati circa 400.000. Una crescita demografica assolutamente anomala e unica che ne fa la seconda area urbanizzata del Lazio e la undicesima in Italia.
La domanda di servizi di questi nuovi residenti ha determinato situazioni di assoluta emergenza ambientale.
Il sovrasfruttamento delle risorse idriche ha fatto sì che l’acqua, oltre a scarseggiare, sia anche inquinata da arsenico, manganese e fluoruri, visto che ormai è necessario scavare i pozzi sino a 400 metri. Il livello delle acque del lago Albano è sceso di oltre 6 metri e continua a scendere ad un ritmo di 30 cm/anno.

L’eccessivo traffico veicolare crea seri problemi alla vivibilità delle città, come l’inquinamento da polveri sottili, quello da rumore, l'inagibilità dello spazi urbani e lo stress degli automobilisti che impiegano ore per recarsi al lavoro o per trovare un parcheggio libero.

La sovrapproduzione di rifiuti urbani,ha saturato le discariche creando la minaccia della costruzione di inceneritori ed il progressivo inquinamento del suolo e della falda idrica;
L’aumento della domanda di servizi sanitari, unita alla riduzione dell’offerta ospedaliera, sta generando situazioni altamente drammatiche.

Domande e risposte sul perché è importante la perimetrazione del Parco
Il territorio ha dei “limiti” fisici, prima o poi finisce e una volta che le aree agricole, i boschi, i prati verranno urbanizzati che cosa resterà?
Che acqua berremo? Come smaltiremo i rifiuti? Che aria respireremo? Che
qualità avrà la nostra vita?

Il “cuore” dei Castelli Romani ancora integro, è rappresentato da boschi, laghi, aree agricole e prative, biodiversità. Tutto questo patrimonio è inserito nel perimetro del Parco Regionale dei Castelli Romani che ha l'autorità e l’obbligo per legge di esercitare la tutela della nostra area.

Cosa è il consumo del territorio?
I Castelli romani sono ricchi di storia, arte, cultura, gusto, paesaggio. Ma ha una malattia molto grave: il consumo di territorio.

Un cancro che avanza ogni giorno, in Italia al ritmo di quasi 250 mila ettari all’anno. Dal 1950 ad oggi, un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata Seppellita sotto il cemento.

Il limite di non ritorno, superato il quale l’ecosistema Italia non è più in grado di autoriprodursi è sempre più vicino. Ma nessuno se ne cura. Fertili pianure agricole, romantiche coste marine, affascinanti pendenze montane e armoniose curve collinari, sono quotidianamente sottoposte alla minaccia, all’attacco e all’invasione di betoniere, trivelle, ruspe e mostri di asfalto.

Non vi è angolo d’Italia in cui non vi sia almeno un progetto a base di gettate di cemento: piani urbanistici e speculazioni edilizie, residenziali e industriali; insediamenti commerciali e logistici; grandi opere autostradali e ferroviarie; porti e aeroporti, turistici, civili e militari.

Non si può andare avanti così! La natura, la terra, l’acqua non sono risorse infinite. Il paese è al dissesto idrogeologico, il patrimonio paesaggistico e artistico rischia di essere irreversibilmente compromesso, l’agricoltura scivola verso un impoverimento senza ritorno, le identità culturali e le peculiarità di ciascun territorio e di ogni città, sembrano destinate a confluire in un unico, uniforme e grigio contenitore indistinto.



Quali sono le proporzioni di questo fenomeno e come agisce?

Il consumo di territorio nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante. Negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha cavalcato una urbanizzazione ampia, rapida e violenta. Le aree destinate a edilizia privata, le zone artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità, ecc.).

Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini.

Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone e regioni urbane. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio).

Tutto ciò porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che si può definire la “città continua”. Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una “conurbazione” ormai completa per molte aree del paese.

Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative?

Sì!
Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo e alla cosiddetta “crescita zero”, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.


Quali sono i principali motivi a sostegno dell’opzione zero?

1. Perché il suolo ancora non cementificato non sia più utilizzato come “moneta corrente” per i bilanci comunali.

2. Perché si cambi strategia nella politica urbanistica: con l’attuale trend in meno di 50 anni buona parte delle zone del Paese rimaste naturali saranno completamente urbanizzate e conurbate.

3. Perché occorre ripristinare un corretto equilibrio tra Uomo ed Ambiente sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal punto di vista paesaggistico.

4. Perché il suolo di una comunità è una risorsa insostituibile perché il terreno e le piante che vi crescono catturano l’anidride carbonica, per il drenaggio delle acque, per la frescura che rilascia d’estate, per le coltivazioni, ecc.

5. Per senso di responsabilità verso le future generazioni.

6. Per offrire a cittadini, legislatori ed amministratori una traccia su cui lavorare insieme e rendere evidente una via alternativa all’attuale modello di società.

Da quando c’è il parco dei Castelli Romani?
Il Parco dei Castelli Romani è stato istituito con la Legge regionale 2/1984 allo scopo di tutelare l’integrità delle caratteristiche naturali e culturali dei quindici paesi (Albano Laziale, Ariccia, Castel Gandolfo, Frascati, Genzano di Roma, Grottaferrata, Lanuvio, Lariano, Marino, Monte Compatri, Monte Porzio Catone, Nemi, Rocca di Papa, Rocca Priora, Velletri) che occupano l’antico Vulcano Laziale. Dopo una prima fase che ha portato l’Ente a strutturarsi con servizi di vigilanza, didattica ambientale e promozione, con la Legge regionale 29/1997 si è certamente ottenuto un ruolo più incisivo a livello di gestione territoriale.

Di chi sono i territori del parco?
Il parco non è proprietario dei territori che gestisce. Tutte le aree continuano ad essere dei proprietari, esattamente come era prima dell’istituzione del parco.


Da una intervista a Anna Maria Duranti, del Comitato promotore del Parco dei castelli Romani, grazie alla cui azione nel 1984 è stato istituito il Parco.
Già nel 1975 si gridava l’allarme per la moria di pesci e per la singolare, mai vista prima, colorazione “vinaccia” del Lago di Nemi quando l'Oscillatoria (alias Plankthotrix) rubescens esplose in tutta la sua potenza tingendo di rosso bordò tutto il lago di Nemi. Il WWF di allora e poi noi del Comitato promotore PCR , seguimmo con tenacia tutta la vicenda: tempestammo di denunce e appelli diretti ai Comuni, alla Provincia, intervenimmo sui giornali nei convegni pubblici ecc, finché non si provvide alla deviazione della fognatura di una grande struttura sanitaria considerata la principale responsabile della massiccia eutrofizzazione del lago. In seguito la situazione è migliorata anche se ormai le caratteristiche del lago erano state fortemente compromesse. Anche allora si conoscevano bene le cause inquinanti: eccessiva immissione di nutrienti e prelievo di acqua dal lago. Teoricamente sarebbe così facile intervenire per evitare o almeno ridurre questi scempi che oltretutto risultano altamente rischiosi per la salute umana. Ma tant'è che, rileggendo la documentazione di cui sopra, sono rimasta colpita dal fatto che, a distanza di più di trent'anni, non solo non siamo riusciti a risolvere, prevenire o limitare la diffusione di casi analoghi (praticamente tutti i laghi del Lazio risultano infestati dall'alga), e questo nonostante il progresso delle conoscenze e la proliferazione di enti e strutture preposte alla salvaguardia ecc., ma soprattutto mi sembra che sia subentrata una rassegnazione generalizzata per cui le stesse persone che meritoriamente denunciano il degrado, mentre una volta si indignavano per la perdita del valore ambientale ed economico che l'inquinamento comportava, ora sono ripiegate su una linea difensiva estrema che fa leva sul pericolo che l'alta tossicità del cianobatterio comporta. Come a dire: se non fosse così pericolosa per l’uomo quest'alga sarebbe pure un'attrazione turistica! Secondo me è qui che la cultura politica dovrebbe intervenire e distinguersi per ripristinare una scala di valori e di priorità da perseguire con decisione: L'ambiente lacustre è una risorsa ambientale di assoluto valore e in quanto tale deve essere salvaguardato impedendone un uso che ne comprometta l'equilibrio. Niente compromessi ed eccezioni. Se non siamo disposti ad osservare queste restrizioni al libero arbitrio del più forte o del più furbo di turno, non facciamo poi le vittime e teniamoci le tossine!” 




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